Pessimismo esistenziale e relativismo storico. I Ricordi di Guicciardini

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Pessimismo esistenziale e relativismo storico. I Ricordi di Guicciardini

Ricordo 125: “E filosofi e teologi e tutti gli altri che scrutano le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie: perché in effetto gli uomini sono al buio delle cose, e questa indagazione ha servito e serve più a esercitare gli ingegni che a trovare la verità.”

Nato nella Firenze medicea nel 1483, Francesco Guicciardini fu un brillante giurista e intellettuale fiorentino, acuto osservatore della natura umana in tutti i suoi aspetti più profondi. Durante gli anni della sua carriera diplomatica ebbe modo di dimostrare le sue doti nell’arte della politica, pur differenziandosi, negli scritti e nei principi, dal padre della scienza politica moderna, Niccolò Machiavelli. Nel 1513, dopo essere stato in Spagna come ambasciatore presso Ferdinando, tornò a Firenze, dove da poco si era ristabilita la supremazia dei Medici. Iniziarono per Guicciardini gli anni più intensi della sua attività politica. Fu nominato da papa Leone X, nel 1521, Commissario generale dell’esercito pontificio. Nel 1523, papa Clemente VII lo nominò presidente della Romagna, assegnandoli il difficile compito di controllare e una regione da lungo tempo attanagliata dalle lotte di potere tra le potenti famiglie locali.

Tuttavia, nonostante il grande impegno e responsabilità con cui Guicciardini si impegnò sempre nella sua attività politica e nelle cariche pubbliche che ricoprì, la fortuna volse in altra direzione, quando, nel 1527, la signoria medicea cadde nuovamente, e i Medici vennero allontanati da Firenze, con la conseguente restaurazione della Repubblica. Il susseguirsi di eventi politici sfavorevoli portarono Guicciardini ad una repentina disgrazia, accompagnata dal sospetto che suoi concittadini nutrivano nei suoi confronti a causa dalla sua amicizia con i papi di discendenza medicea. Ripercorrendo in parte le stesse vicissitudini che erano toccate in sorte, prima di lui, a Machiavelli, rimasto escluso dall’attività politica, si ritirò a vita privata nella sua villa di Finocchieto, vicino Terni, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, fino alla morte nel maggio del 1540.

Nonostante, dal punto di vista storiografico, molti sono gli eventi che accomunano Guicciardini al destino di Machiavelli, dal punto di vista letterario sono molti gli elementi che li differenziano. A differenza dell’autore dei trattati politici e delle leggi immutabili che governano il destino degli stati, in Guicciardini non è possibile ricostruire un vero e proprio sistema organico di dottrine in termini di filosofia della storia o di scienza della politica. Il motivo può essere rintracciato nella sua stessa impostazione di pensiero: egli, infatti, crede nell’infinita varietà e caducità delle cose, nel loro caotico susseguirsi senza ratio, rendendo impossibile ogni sforzo dell’intelletto umano volto a decifrarne leggi immutabili e universali. Lo scetticismo che sottende in tutte le sue opere, si manifesta nel culto per il particulare rispetto all’universale, che lo conduce ad abbracciare una prospettiva di pensiero fondamentalmente pessimistica, sulla base dell’inafferrabilità dell’essenza intima della storia, e dell’impossibilità di una razionalizzazione e quindi previsione degli eventi.

L’opera che meglio rappresenta la personalità enigmatica di Guicciardini è Ricordi. Scritti in un arco di tempo piuttosto ampio, che va dal 1512 al 1530, permettono di seguire i successivi sviluppi del pensiero politico e ideologico dell’autore. La prima redazione, del 1512, rappresenta una forma embrionale dell’opera, non ancora perfettamente compiuta. Si tratta per lo più di abbozzi di pensieri, con la forma della riflessione sporadica e occasionale, quasi privata. Nella seconda redazione, risalente al 1525, si assiste ad un graduale allontanamento dal fatto contingente, dove le singole riflessioni politiche vengono ricondotte all’interno di leggi psicologiche. Frutto di regressione ideologica, accresciuta delle frustrazioni personali in seguito ai nefasti avvenimenti del 1527, la terza ed ultima redazione, del 1530, esprime il desiderio, da parte di Guicciardini, di ricondurre l’ampia varietà degli scritti ad una struttura generale di carattere conclusivo, espressione dell’atteggiamento contemplativo e riflessivo proprio di colui che è costretto a ritirarsi dalla vita attiva e a ricoprire il ruolo di osservatore distaccato. Prevalgono quindi riflessioni di carattere generale sulla condizione umana, dove l’allontanamento del tema politico è espressione di un particolare atteggiamento speculativo di fronte alla realtà, ponendo un’incolmabile distanza tra lo scrittore, inerme dinanzi alla storia, e quegli stessi avvenimenti che lo videro protagonista sulla scena politica.

Una costante dei Ricordi è la consapevolezza della precarietà della condizione umana, una precarietà esistenziale che l’autore ha avuto modo di sperimentare in prima persona in diverse occasioni, in un universo dominato da forze insondabili. Ricordi 126; 179: “[…] perché la natura delle cose del mondo è in modo che è quasi impossibile trovarne alcuna che in ogni parte non vi sia qualche disordine e inconveniente.” “[…] non essendo più el mondo e e prìncipi fatti come doverrebbono, ma come sono.”

Nel suo complesso, l’opera esprime l’immagine di un uomo ferito nelle sue motivazioni profonde, con il crollo di ogni illusione politica e il distacco di colui che preferisce osservare in silenzio, e che tuttavia persegue instancabilmente quella che è la ricerca della verità storica e fattuale, senza ricadere nella sfera dell’irrazionale propria dell’etica cristiana. I Ricordi costituiscono il resoconto di tutte le esperienze che Guicciardini ha acquisito durante gli anni del suo attivismo politico, pur alla luce del fallimento di ogni iniziativa riformistica a Firenze.

Per l’intima natura dell’opera, così come impostata e voluta da Guicciardini, sarebbe erroneo considerare i Ricordi come ammonimenti funzionali al successo politico, come invece fu il Principe di Machiavelli. Il primato della praxis, rispetto alla teoria, radicalizza il relativismo moderato di Machiavelli in un relativismo assoluto, volto più a liberare e interpretare la realtà, piuttosto che a classificarla e rinchiuderla in categorie tassonomiche statiche e concluse.

Il costante rifiuto degli exempla, della regola e dell’universale, lo scetticismo nei confronti dei tentativi di previsione del futuro politico, e il conseguente rifiuto di una eccessiva teorizzazione della storia e della politica, fanno dell’opera guiccirdiniana l’espressione di una riflessione sciolta da ogni fine pratico, inaugurando un genere letterario nuovo, senza precedenti nel panorama della letteratura occidentale del 1500. Ricordo 117: “E’ fallacissimo el giudicare per gli essempli, perché, se non son simili in tutto e per tutto, non servono, conciosia che ogni minima varietà nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto: e el discernere queste varietà, quando sono piccole, vuole buono e perspicace occhio.”

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